Una Cina aperta, ma non ancora del tutto, quella su cui riflette la prima pane del XIV rapporto annuale di Iccf-Italy China council foundation, l’ente nato dall’integrazione tra la fondazione Italia Cina e la Camera di commercio italo cinese, che oggi conta circa 400 imprese associate di tutte le dimensioni, di cui 1’80% italiane. Numeri alla mano, la relazione, elaborata dal Centro studi Iccf e presentata l’altro ieri a Milano (vedere MFF del maggio), ha posto l’accento sul restart della Cina nel primo trimestre. Se i consumi sono stati il vero motore della ripartenza, bene soprattutto i servizi (+5,4%) e le vendite al dettaglio (+5,8%), la crescita è stata tuttavia disomogenea, a fronte del calo delle esportazioni e degli investimenti.
Molti comunque i segnali positivi, a partire da quel +4,5% di prodotto intemo lordo che fa ben sperare. «Ci attendiamo che il pil cinese superi nell’anno i15%, un limite del quale la Cina ha bisogno per svilupparsi», ha spiegato a MFF il presidente della fondazione, Cav. Lav. Mario Boselli. Quanto a possibili acquisizioni di realtà del Made in Ita1yy da parte di gruppi o fondi cinesi, Boselli esprime cautela. «A oggi, i governanti cinesi hanno indicato come prioritari gli investimenti nell’ambito di innovazione, ricerca tecnologica e accesso a materiali strategici, per esempio le terre rare. Hanno sconsigliato invece altri acquisti, dalla squadra di calcio al brand di moda, dal cibo al design. Oggi non c’è perciò una particolare attenzione ad acquistare griffe del lusso».
Intanto, 11 palinsesto di Cnmi, in programma a giugno con le sfilate dell’uomo e a settembre con la donna, sarà un giro di boa importante per consolidare la ripresa della Cina e riallacciare i rapporti commerciali con le pmi italiane.