In un momento di acceso dibattito sul merito dei nostri giovani, i dati raccolti da Fondazione Rocca sulla scuola mostrano un immobilismo di 20 anni che non può che accendere i riflettori sul ruolo fondamentale di questa istituzione. La scuola dovrebbe essere la prima preoccupazione di tutti, a partire dalle classi dirigenti, soprattutto considerando che l’età media nel nostro Paese cresce: nel 2021 era di poco inferiore ai 46 anni, due in più rispetto a un decennio fa. E più una società invecchia, più diviene fondamentale la sua capacità di investire nel capitale umano dei propri giovani.
La comparazione internazionale evidenza una scuola primaria italiana competitiva. Ma quando parliamo di scuola secondaria, i risultati peggiorano inesorabilmente. I dati evidenziano che le scuole medie, in particolare, sono il nostro grande vulnus: l’impostazione di questi tre anni, non fornendo spesso stimoli adeguati, non crea nei ragazzi curiosità né favorisce lo sviluppo di competenze. Un vulnus che — ci raccontano i numeri — si trascina poi fino al termine delle superiori: quando arrivano alla maturità, sebbene praticamente tutti conseguano il diploma, circa la metà dei nostri studenti non solo non ha competenze adeguate né in italiano né in matematica, ma non ha neppure quelle necessarie a proseguire gli studi o a trovare un’occupazione (la cosiddetta «dispersione implicita»). Infatti, l’Italia è tra i Paesi europei quello con il maggior numero di giovani Neet («not in education, employment, or training»), quasi un quarto del totale nella fascia 18-24 anni. Un problema, come in generale la performance scolastica, particolarmente grave al Sud dove la dispersione implicita è 8-10 volte maggiore che al Nord.
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