Nei primi anni ’70, nel suo “Small is beautiful”, l’economista tedesco Friedrich Schumacher indicava nella flessibilità delle piccole imprese la ragione del loro successo anche in contesti che “in teoria” avrebbero dovuto vederle penalizzate. Per esprimere l’apparente assurdità della forza competitiva delle piccole realtà produttive, Schumacher adottò una metafora destinata a diventare un classico: “Il volo del calabrone”. Il calabrone è tozzo, ha ali piccole e “in teoria” non dovrebbe nemmeno sollevarsi da terra. Eppure, il calabrone vola. Con grande rumore riesce ad andare persino veloce e molto in alto. Ecco, l’economia italiana è come il calabrone: senza materie prime e con poche industrie avanzate, con una elevata conflittualità sociale, l’Italia è diventata nella seconda metà del ‘900 una delle sette maggiori potenze industriali del mondo. Com’è stato possibile?
Lo vediamo anche oggi. L’Italia cresce più dei grandi Paesi europei (quest’anno: +1,2 per cento, Francia più 0,7, Germania più 0,2), il tessuto produttivo appare solido, con un export che ha superato quota 600 miliardi nonostante le oggettive difficoltà in termini di infrastrutture, connettività, scuola, burocrazia, formazione. C’è un’Italia economica, fatta di numeri, occupati, crescita, che continua a offrire ragioni per essere ottimisti sul futuro. E c’è un’Italia che pare incagliarsi di continuo. Com’è possibile?
Verrebbe da chiedersi se non siamo assistendo, soprattutto in questi ultimi due decenni, dopo le crisi finanziarie e quella pandemica, a un nuovo miracolo economico. A illustrare alcune delle ragioni di questo miracolo è il volume “Il segreto italiano. Tutta la bellezza che c’è” (Treccani), curato da Vittorio Coda, docente emerito di Strategia e Politica Aziendale alla Bocconi di Milano e Presidente del Comitato Scientifico ISVI, e ispirato dal Cavaliere del Lavoro Ali Reza Arabnia, Presidente ISVI. Grazie alla collaborazione di un gruppo multidisciplinare di ricercatori, la ricerca è stata svolta dall’Istituto per i Valori d’Impresa (ISVI) e patrocinata dalla Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro e dal Gruppo Lombardo, con un obiettivo molto chiaro: indagare e provare a definire i caratteri dell’imprenditoria italiana d’eccellenza. Ne vien fuori un volume articolato, in cui economisti, storici, ma anche sociologi e antropologi, definiscono e per certi versi restituiscono una genealogia del concetto stesso di “Made in Italy”.