Grazie a Walter Mariotti, Direttore Editoriale del Sistema Domus, per questa sua preziosa testimonianza:
“Non si può non comunicare”.Aveva fatto scandalo, alla metà degli anni Sessanta, l’assioma base della scuola di Palo Alto, che riflettendo sul comportamento umano lanciava un principio che sembrava piuttosto una provocazione. Ogni nostra parola, ogni gesto, ogni azione, persino la posizione del nostro corpo davanti a un interlocutore indicano sempre qualcosa, esprimono un messaggio, sono “già” comunicazione. Mettono in comune, infatti, non solo e non tanto le nostre intenzioni, i nostri messaggi, quelli che oggi si chiamano contenuti. Ma prima e soprattutto condividono i nostri valori, le nostre speranze, la nostra essenza. In una parola, dicono chi siamo e chi vogliamo essere. Una prospettiva originale quanto illuminante, soprattutto in tempi di pandemia che diventa infodemia. Accade infatti che anche quando non vogliamo comunicare in realtà comunichiamo: con le parole quanto con il silenzio, con la relazione ma anche con il distacco, con i contenuti ma anche con il vuoto.
Proviamo a cambiare codice e da quello della linguistica passiamo a quello dell’economia. È abbasta chiaro che davanti alla crisi di Coronavirus il surplus di comunicazione è l’opposto reciproco del deficit di chiarezza. E questo non può che creare inflazione, perdita di valore, default. Oggi la comunicazione è inflazionata e perde valore perché corrisponde non a una scarsità ma all’emorragia di comunicare, all’ossessione di dire tutto, sapere tutto, condividere tutto. Il primo, vero contagio che viviamo non è quello del virus ma quello della comunicazione di per sé, a cui è sempre più difficile credere perché si è manifestata con un approccio opposto a quello per cui è stata creata: iperbolico, scandalistico, strumentale.
È come nella teoria del capitalismo. I veri untori, oggi, non sono (solo) quelli che non rispettano la quarantena, ma chi considera potenzialmente colpevole ogni imprenditore, chi per motivi ideologici o retorici non accetta il valore della creazione di valore, chi non distingue il grano dal loglio, chi si affida ai luoghi comuni e agli stereotipi. Comunicare, oggi, coincide con il fare informazione: ovvero nel selezionare le notizie, inserirle in un contesto che le renda significative, lavorare per l’eccellenza. Comunicare, oggi, è tracciare un solco profondo tra real-news e fake-news, che non solo nella vita quotidiana dei singoli ma soprattutto nella realtà dei mercati è l’unico vero aspetto che può fare la differenza. Nel mondo della globalizzazione integrata, che con la pandemia del Coronavirus segna un punto di non ritorno, prima di essere finanziari o economici i mercati sono psicologici, emozionali o ancora peggio emotivi. Basta guardare all’ultimo, recentissimo crollo della borsa, che non è stato l’effetto diretto di un crollo dell’economia reale, ma a un crollo delle aspettative, al venir meno della fiducia crescente – e totalitaria – che i mercati hanno costruito prima di tutto in loro stessi in quel circuito che qualcuno ha definito mercatismo, ovvero la dittatura del prezzo fine a sè stesso sganciato dal valore.
Il crollo della borsa e dei consumi sono l’effetto diretto e concreto del ritorno dell’ignoto, della vertigine medievale del non controllabile, della difficoltà ad accettare che il paradigma illuminista con cui abbiamo vissuto negli ultimi tre secoli è solo uno dei tanti e non di certo il più vero. Perché la vita umana non è scientificamente prevedibile. Perché gli eventi non sono controllabili. Perché gli uomini non sono consumatori o plebi urbane costrette a vivere nei falansteri della postmodernità da poteri occulti sovranazionali. E soprattutto perché la scienza se è veramente tale non è univoca per definizione, come dimostrano gli scienziati che davanti al Coronavirus litigano fra di loro.
Molte sono le lezioni che emergono da questa pandemia, che prima di essere sanitaria è informativa e prima di essere informativa è valoriale. Una però appare già chiara, illuminata e illuminante. Occorre ripensare il ciclo del valore e soprattutto della comunicazione del valore. Occorre tornare sui fondamentali della vita associata e guardare al futuro per costruirlo attraverso quelle chiavi. Bisogna ricostruire un rapporto tra prezzo e valore, apparenza e sostanza, crescita e limite, confine e apertura, io e mondo.
Tenendo presente che sopra di noi, sopra le nostre vicende individuali, sociali e collettive, esiste un’altra sfera di volontà e di pensieri. All’inizio del secolo scorso uno strano gesuita, Pierre Theillard de Chardin l’aveva chiamata “Noosfera”, ma oggi noi potremmo definirla “coscienza collettiva” o anche “coscienza comunicativa”. E quella conoscenza che scaturisce dall’interazione fra le menti umane, che sta sopra all’atmosfera e raccoglie tutte le nostre volontà, i nostri atti e i nostri pensieri. La Noosfera si è sviluppata con l’organizzazione e l’interazione degli esseri umani a mano a mano che essi hanno popolato la Terra. Più l’umanità si organizza in forma di reti sociali complesse, più comunica e si comunica, più la Noosfera acquisisce consapevolezza. Dagli ultimi studi della fisica sembra che cosi funzioni l’universo, ma prima ancora è così che funziona la comunicazione, che si sta espandendo verso una crescente integrazione e unificazione globale che si ritroverà in un punto di caduta preciso.
Walter Mariotti